sabato 29 marzo 2008

Cina: il Tibet fuori dall’agenda del Consiglio dell’Onu per i diritti umani, lo sgomento di Amnesty International


Nel corso della riunione del Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite tenutasi martedì a Ginevra, la discussione sulla situazione in Tibet è stata bloccata.

In seguito alle reiterate proteste cinesi, il presidente ha detto alle Organizzazioni non governative (Ong) che non potevano limitare le loro osservazioni sui punti nell’agenda del Consiglio alla situazione di un unico paese.

Amnesty International ha focalizzato il proprio intervento sulle gravi mancanze della Cina riguardo ai propri obblighi rispetto alla Dichiarazione di Vienna, nel garantire che le persone appartenenti alla minoranza tibetana possano esercitare tutti i loro diritti e le loro libertà fondamentali in maniera completa ed effettiva e senza alcuna discriminazione.

L’organizzazione è stata costretta a interrompere il proprio discorso di fronte al Consiglio a causa delle obiezioni da parte dei cinesi presenti, proprio mentre lo stava leggendo. La delegata di Amnesty International, Patrizia Scannella, ha terminato di parlare ricordando che la Dichiarazione di Vienna e il Programma di azione affermano che “la promozione e protezione di tutti i diritti umani sono una preoccupazione legittima della comunità internazionale”.

Numerose altre Ong hanno visto vanificati i propri sforzi di discutere la situazione in Tibet.

Nell’intervento Amnesty International ha espresso profonda preoccupazione per le violazioni dei diritti umani commesse recentemente nella regione autonoma del Tibet e nelle aree limitrofe. L’organizzazione intendeva chiedere al Consiglio di impegnarsi sulla situazione.

"Nonostante le restrizioni imposte dalla Cina al dibattito odierno siano state estremamente deludenti, Amnesty International accoglie con favore il fatto che, tra le sue osservazioni di oggi, la delegazione cinese abbia accettato che la situazione in Tibet venga discussa opportunamente al punto n. 4 in agenda ["Le situazioni dei diritti umani che richiedono l’attenzione del Consiglio"]", ha dichiarato Patrizia Scannella, rappresentante di Amnesty International presso le Nazioni Unite a Ginevra.

"Sono sorpreso e indignato per il fatto che il rappresentante di governo che dovrebbe in questo momento rispondere di gravi violazioni dei diritti umani abbia potuto interrompere l'intervento di Amnesty International, in un contesto come quello del Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite", ha denunciato Paolo Pobbiati, presidente della Sezione Italiana dell’organizzazione. "La comunità internazionale deve seriamente riflettere su quanto accaduto e pretendere dalla Cina che i suoi impegni per i diritti umani, assunti al momento dell'assegnazione dei Giochi olimpici, si trasformino finalmente in fatti e comportamenti concreti".

FINE DEL COMUNICATO

Il testo completo del discorso sul Tibet che Amnesty International intendeva tenere presso il Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite è disponibile qui.

Per vedere il video dell’intervento, clicca qui.

(foto by http://www.unog.ch/)

giovedì 20 marzo 2008

Repubblica popolare cinese: appello on line di Amnesty International per 15 monaci tibetani in carcere

Amnesty International ha lanciato oggi un appello in favore di Samten, Trulku Tenpa Rigsang, Gelek Pel, Lobsang, Lobsang Thukjey, Tsultrim Palden, Lobsher, Phurden, Thupdon, Lobsang Ngodup, Lodoe, Thupwang, Pema Garwang, Tsegyam e Soepa, 15 monaci tibetani arrestati il 10 marzo per aver preso parte a una manifestazione pacifica a Barkhor, Lhasa, la capitale della Regione autonoma tibetana. Non si hanno ulteriori informazioni sul luogo in cui sono detenuti né su eventuali accuse formulate nei loro confronti. Amnesty International teme rischino di subire torture e altri maltrattamenti.

Il 10 marzo, centinaia di monaci hanno dato vita a una marcia dal monastero di Drepung verso Barkhor. Un altro gruppo, di cui i 15 monaci ora in carcere facevano parte, ha iniziato a marciare dal monastero di Sera ma è stato subito bloccato dalle forze di sicurezza cinesi. I monaci chiedevano al governo di Pechino di porre fine alla campagna di “rieducazione patriottica”, che li obbliga ad abiurare il Dalai Lama e li sottopone alla propaganda governativa.

Le manifestazioni a sostegno dei monaci arrestati si sono estese ad altri monasteri e hanno coinvolto settori più ampi della popolazione, a Lhasa e nelle province vicine del Qinghai, del Gansu e del Sichuan, popolate in larga parte da tibetani. Il 14 marzo le proteste si sono fatte violente; alcuni dimostranti hanno assalito e incendiato esercizi commerciali cinesi e hanno aggredito persone di altri gruppi etnici.

Il governo di Pechino ha sollecitato i manifestanti ad arrendersi entro la mezzanotte del 17 marzo, ora locale, promettendo un trattamento indulgente a coloro che avrebbero rispettato l’ultimatum.

Attualmente le strade di Lhasa sembrano essere per lo più calme e sgombre, mentre giungono notizie di disordini nelle province del Gansu e del Sichuan. La polizia e i militari cinesi stanno rastrellando le case di Lhasa, dalle quali alcuni testimoni hanno visto trascinare via persone con la forza, e pare stiano ricorrendo a un uso eccessivo della forza contro manifestazioni sporadiche ancora in corso a Lhasa e in altri centri del Tibet. Il fatto che un gran numero di truppe sia stato dispiegato nella regione fa temere che possano essere commesse ulteriori violazioni dei diritti umani.

Le autorità cinesi hanno imposto un blocco pressoché totale delle notizie provenienti dal Tibet e dalle zone limitrofe. Dal 12 marzo ai giornalisti non viene più permesso l’ingresso nella regione. Gli inviati che già si trovavano in Tibet sono stati costretti a rimanere alla larga dalle province del Gansu, del Sichuan e del Qinghai.

Firma on-line questo appello

(foto by Tiscali)

domenica 16 marzo 2008

MYANMAR: Timori di torture e maltrattamenti

Thet Zin (maschio), 41 anni, giornalista
Sein Win Maung (noto anche come Ko Soe) (maschio), giornalista

Thet Zin e Sein Win Maung, entrambi giornalisti del settimanale ‘Myanmar Nation’, sono stati arrestati il 15 febbraio 2008. Si ritiene siano trattenuti nella prigione Insein di Yangon. Amnesty International è gravemente preoccupata per la loro sicurezza in quanto ritiene siano a rischio di tortura e maltrattamenti. Thet Zin ha problemi cardiaci e polmonari.

La sera del 15 febbraio otto agenti di polizia e funzionari della sicurezza hanno perquisito per quattro ore gli uffici del ‘Myanmar Nation’ a Yangon. Thet Zin e Sein Win Maung, rispettivamente direttore e manager della rivista, sono stati arrestati al termine dell’operazione. La polizia ha sequestrato una copia di quello che si ritiene essere un rapporto sulla violenta repressione delle pacifiche proteste del settembre 2007, redatto dal relatore Speciale delle Nazioni Unite per la situazione dei Diritti Umani in Myanmar. La polizia ha anche sequestrato i cellulari dei due giornalisti, delle poesie autografe di Sein Win Maung, un libro sul federalismo scritto da un leader carismatico dell’etnia Shan e alcuni CD contenenti immagini delle manifestazioni di settembre.

Dopo il loro arresto Thet Zin e Sein Win Maung sono stati condotti alla stazione di polizia di Thingangyun, alla periferia di Yangon. Si ritiene che siano stati trasferiti nel carcere Insein il 19 febbraio. Il 18 Thet Zin aveva potuto incontrare sua moglie nella stazione di polizia, riferendole che correva il rischio di subire una condanna a dieci anni, nonostante non sapesse di cosa fosse accusato. Lo stesso giorno sei agenti della stazione di polizia di Thingangyun sono tornati negli uffici del ‘Myanmar Nation’ per un’ulteriore perquisizione di tre ore, sequestrando dei dati dal computer di Thet Zin. Da allora gli uffici sono stati sigillati dalla polizia.

Thet Zin, un attivista politico di lunga data e padre di due figli, ha fondato il ‘Myanmar Nation’ nel 2006. Il giornale è pubblicato con l’autorizzazione dell’ufficio della censura. Era già stato arrestato nel marzo 1988 per il suo attivo coinvolgimento nelle proteste studentesche dell’Università di Rangoon, che culminarono nella rivolta a favore della democrazia dell’8 agosto 1988, duramente repressa. In carcere subì torture.

Dopo il suo rilascio, avvenuto nel luglio 1988, riprese la sua attività politica e guidò manifestazioni pubbliche nella sua città natale di Yangon per tutto agosto e settembre 1988. Durante il 1988 e il 1989 fu un membro attivo della “All Burma Federation Students Union” e l’organizzatore di un partito politico studentesco. Fu arrestato e interrogato dalle forze di sicurezza militari in numerose occasioni negli anni Novanta. Anche la famiglia di Thet Zin è politicamente attiva, e ha subito numerose minacce da parte delle autorità.

Thet Zin ha lavorato in passato come giornalista e redattore per altri settimanali. Ha pubblicato poesie e racconti su riviste birmane con lo pseudonimo di Maung Zin.


BACKGROUND

Le autorità del Myanmar hanno intensificato le persecuzioni ai danni degli attivisti politici dopo la violenta repressione delle pacifiche proteste di massa dello scorso settembre. Dal novembre 2007, sono stati arrestati più di 100 attivisti politici in diverse parti del paese, comprese le regioni delle minoranze etniche. Almeno 16 di loro sono stati condannati a pene detentive, e secondo testimonianze attendibili alcuni all’ergastolo.

Il 19 febbraio, l'Inviato Speciale delle Nazioni Unite UN Ibrahim Gambari ha dichiarato che le autorità del Myanmar erano tenute a creare "un’atmosfera favorevole ad elezioni credibili", in risposta al recente annuncio del governo di un referendum sulla nuova costituzione da tenersi a maggio e di elezioni multi-partitiche per il 2010.

Tuttavia, negli ultimi mesi le autorità hanno aumentato la pressione sui media e sulle persone che esercitano il loro diritto alla libertà d’espressione diffondendo informazioni su internet.

Ai primi di febbraio, il popolare blogger e proprietario di un internet caffé, Nay Phone Latt, è stato incriminato in base alla sezione 5 della Legge sull’Emergenza del 1950. Questa legge, dal contenuto estremamente vago, è stata usata nel corso degli anni per incarcerare giornalisti e scrittori.

Inoltre, tra gli arresti recenti ci sono persone che hanno tentato di inviare alla comunità internazionale informazioni sulla repressione, il che dimostra chiaramente come il governo sia determinato a ridurre al silenzio chi sia in grado di accusarlo. Le autorità hanno anche dichiarato di indagare sui legami tra i giornalisti all’interno del Myanmar e i media stranieri gestiti da esiliati.

In Myanmar i media sono strettamente controllati. Tutti i giornali e le pubblicazioni stampate devono essere visionati dal "Press Scrutiny Board" (comitato per la censura) prima della pubblicazione o distribuzione; autori, editori, redattori e distributori possono essere incarcerati fino a sette anni in caso di violazione. Tutte le pubblicazioni, compresi romanzi, trasmissioni e video, sono soggetti alla censura governativa. Anche internet è pesantemente censurato. Durante la repressione dello scorso settembre, le connessioni sono state interrotte, e il governo ha ripetuto la stessa tattica di repressione un mese dopo quando un piccolo gruppo ha manifestato in occasione dell’anniversario delle proteste.