giovedì 23 settembre 2010

Appello per il Myanmar

Nell'appello si chiede ai governi dell'ASEN di sostenere i diritti umani in Myanmar.
L'appello è in inglese, questa è la traduzione:

Signor Ministro,

Nel corso dell'anno, in Myanmar si terranno le elezioni per la prima volta in due decenni. Tuttavia, la situazione dei diritti umani nel periodo precedente alle urne rimane grave. Oltre 2.200 prigionieri politici, molti dei quali prigionieri di coscienza, continuano a languire dietro le sbarre in Myanmar. Secondo le leggi elettorali adottate a marzo, nessuno di essi può prendere parte alle elezioni.

Invito pertanto il Suo governo, in qualità di membro dell'ASEAN, a lavorare con tutti gli Stati dell'ASEAN per sostenere i principi giuridicamente vincolanti della Carta dell'ASEAN, affinché si rispettino “le libertà fondamentali, la promozione e la tutela dei diritti umani, e la giustizia sociale”, premendo il governo del Myanmar di:

  • Rilasciare immediatamente e incondizionatamente tutti i prigionieri di coscienza arrestati esclusivamente sulla base della loro attività politica pacifica, etnia o religione.
  • Garantire che tutte le persone in Myanmar possano godere della "tre libertà" di espressione, di riunione pacifica, di associazione e per tutto il periodo delle elezioni e al di là di esso.
L'ASEAN deve svolgere un ruolo chiave nel portare questi tanto attesi miglioramenti dei diritti umani in Myanmar. Grazie per la vostra attenzione. Distinti saluti.


Per firmare l'appello, clicca qui.

martedì 22 settembre 2009

Notizie sulla Birmania - 14 settembre 2009

Sommario:

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- Da Total e Chevron 5 miliardi di dollari in fondi neri alla giunta militare
- Total/Chevron non sono i soli ad arricchire la giunta, mentre il popolo è alla fame
- Birmania: liberato aiutante Suu Kyi
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Da Total e Chevron 5 miliardi di dollari in fondi neri alla giunta militare
Asia News_13 settembre 2009

L’ong EarthRights International accusa i due colossi dell’energia di sostenere la dittatura in Myanmar. Esse sfruttano il lavoro forzato della popolazione e nascondono i crimini commessi dall’esercito. I fondi nascosti in due banche offshore di Singapore. Per ora nessun commento ufficiale dalle compagnie.

I giganti dell’energia Total e Chevron sostengono la giunta militare birmana sfruttando il lavoro forzato della popolazione, nascondendo omicidi e abusi, e arricchendo le casse dei militari di circa cinque miliardi di dollari Usa, occultati in due banche offshore a Singapore. A denunciarlo è l’ong EarthRights International (Eri), con base negli Stati Uniti e sedi sparse nei Paesi del Sud-est asiatico, in due diversi rapporti frutto di anni di inchieste in Myanmar.

EarthRights International accusa la compagnia francese Total e la statunitense Chevron di “coprire le violazioni dei diritti umani” dell’esercito birmano a guardia delle condotte del gas, tra cui lavori forzati e omicidi ai danni della popolazione. L’inchiesta svolta dagli attivisti dell’Eri rivela inoltre che la giunta militare al potere in Myanmar ha occultato 4,80 miliardi di dollari Usa, in due banche di Singapore. Essi sono i proventi della vendita del gas naturale, che la dittatura ha sottratto dal bilancio dello Stato versandoli su fondi personali.

Matthew Smith, coordinatore Eri per i progetti in Myanmar, afferma che “la leadership militare nasconde miliardi di dollari” mentre la popolazione soffre la fame. Naing Htoo, uno degli autori del rapporto Eri, aggiunge che “le forze della sicurezza di Total e Chevron commettono omicidi, costringono la popolazione ai lavori forzati e altre violazioni dei diritti umani, mentre i vertici della compagnia continuano a mentire alla comunità internazionale”.

I due rapporti diffusi da EarthRights International sono basati su fotografie, interviste e testimonianze fornite della popolazione birmana, interessata dallo Yadana Project: esso intende estrarre gas naturale dal mare delle Andamane, al largo delle coste birmane e convogliarlo in Thailandia. Nel sottosuolo marino vi sarebbero oltre 150 miliardi di metri cubi di gas naturale, che hanno attirato gli interessi delle principali compagnie energetiche e petrolifere mondiali.

Nel recente passato la Total è stata al centro di una controversia per i rapporti economici e commerciali con la giunta militare birmana, all’indomani dell’arresto della leader dell’opposizione democratica Aung San Suu Kyi. Le sanzioni della comunità internazionale, peraltro, colpiscono l’esportazione di armi, legno, minerali e pietre preziose. Il governo francese, invece, ha sempre difeso gli interessi del colosso dell’energia in Myanmar. La Afp riferisce infine che i rappresentanti di Total e Chevron non sono al momento disponibili per un commento ufficiale.


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Total/Chevron non sono i soli ad arricchire la giunta, mentre il popolo è alla fame
Asia News_14 settembre 2009

Il ministro del governo birmano in esilio denuncia ad AsiaNews le connivenze fra governi, multinazionali e i militari al potere. Interessi economici e traffici illegali più importanti delle questioni morali, come democrazia e diritti umani. Le aziende devono risarcire la popolazione, vittima di soprusi e violenze.

L’Ong EarthRights International ha lanciato pesanti accuse contro le multinazionali dell’energia Total e Chevron, incolpate di arricchire la giunta militare birmana con fondi neri e sfruttare la popolazione locale. Ammonterebbe a 4,83 miliardi di dollari Usa il capitale nascosto dalla leadership birmana in due banche off-shore a Singapore. L’Ong denuncia anche la pratica di lavori forzati, omicidi e vessazioni sulla popolazione, interessata dalla realizzazione del gasdotto Yadana che, dal Myanmar, convoglia il gas naturale in Thailandia.

Sulla vicenda riportiamo l’analisi di Tint Swe, membro del consiglio dei ministri del National Coalition Government of the Union of Burma (NCGUB) costituito da rifugiati del Myanmar dopo le elezioni del 1990 vinte dalla Lega Nazionale per la Democrazia e mai riconosciute dalla giunta militare. Fuggito in India nel 1990, dal 21 dicembre del 1991 vive a New Delhi. Da allora fa parte del NCGUB dove ricopre l’incarico di responsabile dell’informazione per l’Asia del Sud e Timor Est.

La democrazia o i progetti umanitari sono umiliati quando hanno a che fare con il Myanmar. Tutto è politica. La politica è denaro. Questo è ciò che la maggior parte degli ignari birmani, ultimamente, ha sperimentato. Ma essi devono anche essere pazienti, lasciare che i governi e le organizzazioni straniere imparino qualcosa in più, sul vero volto della giunta militare. Molti li hanno acusati di mettere in luce solo il lato cattivo dei generali.

Il movimento per la democrazia in Myanmar non disponeva dei giusti mezzi per parlare al mondo dei 3mila morti durante le rivolte del 1988. Grazie ai videofonini, è andata diversamente per la rivolta dei monaci nel 2007. Tuttavia, i media sono ancora inefficaci nell’influenzare la maggior parte dei governi esteri. Le dure reazioni e le dichiarazioni dai toni forti dimostrano, al contempo, l’inutilità delle pressioni verso gli ufficiali dell’esercito birmano.

In seno al Consiglio di sicurezza Onu, è evidente il diritto di veto esercitato da Cina e Russia [sulle sanzioni]. Peraltro, vi sono molti altri poteri invisibili che lavorano dietro le quinte. Interessi economici, sicurezza energetica, traffico di armi e droga sono di gran lunga più importanti delle questioni morali: democrazia, diritti umani e aiuti umanitari.

I visitatori occasionali, che trascorrono un paio di settimane in centri turistici come Pagan, Inlay e sulle spiagge, tornano a casa e raccontano di come sia dolce il sorriso del popolo birmano, e quanto siano pittoreschi i paesaggi. La gente comune è spinta a pensare che tutto proceda come sempre, in Myanmar. Questi commentatori non hanno accesso al misero desco di quanti vivono nelle città satellite e non conoscono le fatiche di quanti, dalle città di origine, devono affrontare lunghi viaggi per raggiungere le carceri nelle aree più sperdute del Paese, dove i loro cari sono detenuti per la loro battaglia a favore della democrazia.

Nessuno critica la mancanza di democrazia, perché i generali sono guardati come bravi ragazzi capaci di nascondere accordi segreti. E i risultati sono la nascita del programma nucleare, i tunnel segreti e i dollari nel settore energetico. Quello che una volta era definito "la risaia dell’Asia", ancora oggi benedetta da Dio in risorse naturali, dopo due decadi, il Myanmar è incapace di emergere dagli ultimi gradini dei Paesi sottosviluppati. Ma guardate il video delle nozze “di diamante” della prima figlia (del generalissimo Than Shwe), girate lo sguardo tra le inutili costruzioni a 5 stelle della capitale Naypyiday, ascoltate le radio in lingua birmana, la Bbc, Voice of America, Radio Free Asia e Democratic Voice of Burma. Quanti hanno davvero bisogno di informazioni veritiere di prima mano e di notizie dall'interno, basta che si facciano tradurre con facilità i feeds RSS di queste radio. Se i vostri giornali continuano a difendere la politica [della giunta] e l’approccio dei vostri governi, allora significa che forse siate un po' accecati.

La verità è che il Myanmar è un Paese disperatamente povero, mentre il regime è estremamente ricco. Il budget per la sanità e l’istruzione è al minimo, le spese militari al massimo. La droga e il mercato nero superano di gran lunga quanto il governo mostra al pubblico in materia di economia.

Il rapporto pubblicato da EarthRights International, circa i 4,8 miliardi di dollari Usa versati alla giunta da due fra le più grandi compagnie petrolifere al mondo è un punto a favore. È evidente che le compagnie, in prima istanza, debbano negare ogni addebito. Le multinazionali come Total – sottoposte alla pressione dell’opinione pubblica – dovrebbero cambiare atteggiamento e compensare la popolazione per la violazione dei diritti umani e degli standard lavorativi. Vi sono molte compagnie di diversi Paesi, dove né la democrazia né l’opinione pubblica possono essere di aiuto. Le banche di Singapore e le aziende sud-coreane sono solo un esempio. Per non parlare delle compagnie cinesi e indiane.

Negli Stati Uniti vi sono sforzi congiunti di politici, sistemi di informazione e attivisti che traggono vantaggio da un allontanamento degli uomini d’affari americani dal Myanmar. Le trame segrete e le mani invisibili hanno sempre avuto un peso nella storia. Non tutte, però, sono state proficue. Poveri birmani, che devono ancora attendere decine di anni.


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Birmania: liberato aiutante Suu Kyi
Ansa_13 settembre 2009

E' stato liberato poche ore dopo il suo arresto Win Tin, leader storico del partito d'opposizione di Aung San Suu Kyi. Win, 80 anni e stretto collaboratore del Nobel per la Pace, aveva firmato nei giorni scorsi un articolo, pubblicato sul Washington Post, in cui definiva una 'farsa' le elezioni programmate dalla giunta militare birmana per l'anno prossimo. Ieri mattina era scattato il fermo: la polizia lo aveva prelevato per 'fargli delle domande'.

mercoledì 4 marzo 2009

Myanmar: attacchi contro la popolazione civile di etnia Karen

Nell'ultimo anno e mezzo, il Myanmar è stato teatro di tragici avvenimenti: la brutale azione repressiva a seguito delle dimostrazioni di massa del settembre 2007; l'adozione di una costituzione fortemente imperfetta dopo un referendum molto problematico e un disastro, dal punto di vista umanitario e dei diritti umani, causato dal ciclone Nargis.


Contemporaneamente, un'altra emergenza dei diritti umani ha devastato la regione orientale di Myanmar. Per circa tre anni, l'esercito di Myanmar, conosciuto come tatmadaw, ha attaccato i civili di etnia Karen dello stato di Kayin e della Divisione di Bago, mettendo in atto diffuse e sistematiche violazioni dei diritti umani e violando il diritto internazionale dei diritti umani e il diritto umanitario. Tali violazioni, che costituiscono crimini contro l'umanità, sono documentate nel rapporto di Amnesty International (AI) 'Myanmar: Crimes against humanity in eastern Myanmar' (ASA 16/011/2008), pubblicato nel giugno 2008.

Dalla pubblicazione del rapporto, AI ha continuato a ricevere numerose denunce di violazioni dei diritti umani della popolazione di etnia Karen tra cui, lavori forzati, trasferimenti forzati e saccheggi. Molti abitanti sono stati minacciati e costretti a pagare somme considerevoli per evitare di venire accusati di fare parte dell'Esercito di liberazione nazionale Karen (KNLA), un gruppo di opposizione armata che, negli ultimi 60 anni, ha combattuto contro il governo centrale.

Nel luglio 2008, gli abitanti di un distretto dello stato di Kayin sono stato costretti a raccogliere e tagliare bambù per costruire il recinto di un campo militare confinante. Ciò era particolarmente pericoloso poichè erano costretti ad eseguire tale lavoro nella parte di strada dove, spesso, il tatmadaw e l'Esercito democratico buddista Kayin (DBKA, una milizia alleata con il governo) posizionavano mine al fine di destabilizzare il KNLA.

Nell'agosto 2008, alcuni ufficiali del DKBA del battaglione speciale #999 hanno ordinato ai capi dei villaggi del distretto amministrativo del T'Nay Hsah (nello stato di Kayin) di procurare reclute per rinforzare il DKBA negli attacchi contro il KNLA. Le reclute sono state scelte casualmente attraverso una specie di lotteria ideata dal DKBA.

Sempre in agosto, il capo del villaggio di Ler Bpoo, nella zona orientale di T'Nay Hsah, ha ricevuto l'ordine da parte del DKBA di far sgomberare immediatamente tutti gli abitanti e di trasferirli altrove così da lasciare libero lo spazio per la costruzione di un nuovo campo militare all'interno del villaggio. Gli abitanti si sono rifiutati di lasciare le loro abitazioni, sottolineando che essendo la stagione delle piogge non sarebbe stato possibile organizzare il trasferimento poiché non erano in grado di raccogliere il necessario per costruire nuove abitazioni altrove. Otto giorni dopo il villaggio è stato raso al suolo dai soldati del DKBA.

AI è a conoscenza che il tatmadaw e il DKBA hanno stabilito una forte presenza nel distretto di T'Nay Hsah. Continuano a reclutare forzatamente gli abitanti per rinforzare i loro eserciti negli attacchi congiunti contro il KNLA nel distretto di Dooplaya, a sud dello stato di Kayin. Quelli che rifiutano di arruolarsi vengono costretti a pagare qualcuno che prenda il loro posto, restando spesso senza denaro ed essendo quindi costretti in seguito a vendere il bestiame e le terre per coprire le spese. Le famiglie che rifiutano di arruolarsi vengono ugualmente costrette a pagare una multa.

AI chiede ai ministri degli Esteri del Vietnam, delle Filippine e della Tailandia di fare pressione, in quanto membri dell'ASEAN, sul governi di Myanmar perchè ponga fine alle gravi violazioni del diritto internazionale dei diritti umani e del diritto internazionale umanitario messe in atto nello stato di Kayin e nella Divisione di Bago.

Firma subito l'appello

sabato 29 marzo 2008

Cina: il Tibet fuori dall’agenda del Consiglio dell’Onu per i diritti umani, lo sgomento di Amnesty International


Nel corso della riunione del Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite tenutasi martedì a Ginevra, la discussione sulla situazione in Tibet è stata bloccata.

In seguito alle reiterate proteste cinesi, il presidente ha detto alle Organizzazioni non governative (Ong) che non potevano limitare le loro osservazioni sui punti nell’agenda del Consiglio alla situazione di un unico paese.

Amnesty International ha focalizzato il proprio intervento sulle gravi mancanze della Cina riguardo ai propri obblighi rispetto alla Dichiarazione di Vienna, nel garantire che le persone appartenenti alla minoranza tibetana possano esercitare tutti i loro diritti e le loro libertà fondamentali in maniera completa ed effettiva e senza alcuna discriminazione.

L’organizzazione è stata costretta a interrompere il proprio discorso di fronte al Consiglio a causa delle obiezioni da parte dei cinesi presenti, proprio mentre lo stava leggendo. La delegata di Amnesty International, Patrizia Scannella, ha terminato di parlare ricordando che la Dichiarazione di Vienna e il Programma di azione affermano che “la promozione e protezione di tutti i diritti umani sono una preoccupazione legittima della comunità internazionale”.

Numerose altre Ong hanno visto vanificati i propri sforzi di discutere la situazione in Tibet.

Nell’intervento Amnesty International ha espresso profonda preoccupazione per le violazioni dei diritti umani commesse recentemente nella regione autonoma del Tibet e nelle aree limitrofe. L’organizzazione intendeva chiedere al Consiglio di impegnarsi sulla situazione.

"Nonostante le restrizioni imposte dalla Cina al dibattito odierno siano state estremamente deludenti, Amnesty International accoglie con favore il fatto che, tra le sue osservazioni di oggi, la delegazione cinese abbia accettato che la situazione in Tibet venga discussa opportunamente al punto n. 4 in agenda ["Le situazioni dei diritti umani che richiedono l’attenzione del Consiglio"]", ha dichiarato Patrizia Scannella, rappresentante di Amnesty International presso le Nazioni Unite a Ginevra.

"Sono sorpreso e indignato per il fatto che il rappresentante di governo che dovrebbe in questo momento rispondere di gravi violazioni dei diritti umani abbia potuto interrompere l'intervento di Amnesty International, in un contesto come quello del Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite", ha denunciato Paolo Pobbiati, presidente della Sezione Italiana dell’organizzazione. "La comunità internazionale deve seriamente riflettere su quanto accaduto e pretendere dalla Cina che i suoi impegni per i diritti umani, assunti al momento dell'assegnazione dei Giochi olimpici, si trasformino finalmente in fatti e comportamenti concreti".

FINE DEL COMUNICATO

Il testo completo del discorso sul Tibet che Amnesty International intendeva tenere presso il Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite è disponibile qui.

Per vedere il video dell’intervento, clicca qui.

(foto by http://www.unog.ch/)

giovedì 20 marzo 2008

Repubblica popolare cinese: appello on line di Amnesty International per 15 monaci tibetani in carcere

Amnesty International ha lanciato oggi un appello in favore di Samten, Trulku Tenpa Rigsang, Gelek Pel, Lobsang, Lobsang Thukjey, Tsultrim Palden, Lobsher, Phurden, Thupdon, Lobsang Ngodup, Lodoe, Thupwang, Pema Garwang, Tsegyam e Soepa, 15 monaci tibetani arrestati il 10 marzo per aver preso parte a una manifestazione pacifica a Barkhor, Lhasa, la capitale della Regione autonoma tibetana. Non si hanno ulteriori informazioni sul luogo in cui sono detenuti né su eventuali accuse formulate nei loro confronti. Amnesty International teme rischino di subire torture e altri maltrattamenti.

Il 10 marzo, centinaia di monaci hanno dato vita a una marcia dal monastero di Drepung verso Barkhor. Un altro gruppo, di cui i 15 monaci ora in carcere facevano parte, ha iniziato a marciare dal monastero di Sera ma è stato subito bloccato dalle forze di sicurezza cinesi. I monaci chiedevano al governo di Pechino di porre fine alla campagna di “rieducazione patriottica”, che li obbliga ad abiurare il Dalai Lama e li sottopone alla propaganda governativa.

Le manifestazioni a sostegno dei monaci arrestati si sono estese ad altri monasteri e hanno coinvolto settori più ampi della popolazione, a Lhasa e nelle province vicine del Qinghai, del Gansu e del Sichuan, popolate in larga parte da tibetani. Il 14 marzo le proteste si sono fatte violente; alcuni dimostranti hanno assalito e incendiato esercizi commerciali cinesi e hanno aggredito persone di altri gruppi etnici.

Il governo di Pechino ha sollecitato i manifestanti ad arrendersi entro la mezzanotte del 17 marzo, ora locale, promettendo un trattamento indulgente a coloro che avrebbero rispettato l’ultimatum.

Attualmente le strade di Lhasa sembrano essere per lo più calme e sgombre, mentre giungono notizie di disordini nelle province del Gansu e del Sichuan. La polizia e i militari cinesi stanno rastrellando le case di Lhasa, dalle quali alcuni testimoni hanno visto trascinare via persone con la forza, e pare stiano ricorrendo a un uso eccessivo della forza contro manifestazioni sporadiche ancora in corso a Lhasa e in altri centri del Tibet. Il fatto che un gran numero di truppe sia stato dispiegato nella regione fa temere che possano essere commesse ulteriori violazioni dei diritti umani.

Le autorità cinesi hanno imposto un blocco pressoché totale delle notizie provenienti dal Tibet e dalle zone limitrofe. Dal 12 marzo ai giornalisti non viene più permesso l’ingresso nella regione. Gli inviati che già si trovavano in Tibet sono stati costretti a rimanere alla larga dalle province del Gansu, del Sichuan e del Qinghai.

Firma on-line questo appello

(foto by Tiscali)

domenica 16 marzo 2008

MYANMAR: Timori di torture e maltrattamenti

Thet Zin (maschio), 41 anni, giornalista
Sein Win Maung (noto anche come Ko Soe) (maschio), giornalista

Thet Zin e Sein Win Maung, entrambi giornalisti del settimanale ‘Myanmar Nation’, sono stati arrestati il 15 febbraio 2008. Si ritiene siano trattenuti nella prigione Insein di Yangon. Amnesty International è gravemente preoccupata per la loro sicurezza in quanto ritiene siano a rischio di tortura e maltrattamenti. Thet Zin ha problemi cardiaci e polmonari.

La sera del 15 febbraio otto agenti di polizia e funzionari della sicurezza hanno perquisito per quattro ore gli uffici del ‘Myanmar Nation’ a Yangon. Thet Zin e Sein Win Maung, rispettivamente direttore e manager della rivista, sono stati arrestati al termine dell’operazione. La polizia ha sequestrato una copia di quello che si ritiene essere un rapporto sulla violenta repressione delle pacifiche proteste del settembre 2007, redatto dal relatore Speciale delle Nazioni Unite per la situazione dei Diritti Umani in Myanmar. La polizia ha anche sequestrato i cellulari dei due giornalisti, delle poesie autografe di Sein Win Maung, un libro sul federalismo scritto da un leader carismatico dell’etnia Shan e alcuni CD contenenti immagini delle manifestazioni di settembre.

Dopo il loro arresto Thet Zin e Sein Win Maung sono stati condotti alla stazione di polizia di Thingangyun, alla periferia di Yangon. Si ritiene che siano stati trasferiti nel carcere Insein il 19 febbraio. Il 18 Thet Zin aveva potuto incontrare sua moglie nella stazione di polizia, riferendole che correva il rischio di subire una condanna a dieci anni, nonostante non sapesse di cosa fosse accusato. Lo stesso giorno sei agenti della stazione di polizia di Thingangyun sono tornati negli uffici del ‘Myanmar Nation’ per un’ulteriore perquisizione di tre ore, sequestrando dei dati dal computer di Thet Zin. Da allora gli uffici sono stati sigillati dalla polizia.

Thet Zin, un attivista politico di lunga data e padre di due figli, ha fondato il ‘Myanmar Nation’ nel 2006. Il giornale è pubblicato con l’autorizzazione dell’ufficio della censura. Era già stato arrestato nel marzo 1988 per il suo attivo coinvolgimento nelle proteste studentesche dell’Università di Rangoon, che culminarono nella rivolta a favore della democrazia dell’8 agosto 1988, duramente repressa. In carcere subì torture.

Dopo il suo rilascio, avvenuto nel luglio 1988, riprese la sua attività politica e guidò manifestazioni pubbliche nella sua città natale di Yangon per tutto agosto e settembre 1988. Durante il 1988 e il 1989 fu un membro attivo della “All Burma Federation Students Union” e l’organizzatore di un partito politico studentesco. Fu arrestato e interrogato dalle forze di sicurezza militari in numerose occasioni negli anni Novanta. Anche la famiglia di Thet Zin è politicamente attiva, e ha subito numerose minacce da parte delle autorità.

Thet Zin ha lavorato in passato come giornalista e redattore per altri settimanali. Ha pubblicato poesie e racconti su riviste birmane con lo pseudonimo di Maung Zin.


BACKGROUND

Le autorità del Myanmar hanno intensificato le persecuzioni ai danni degli attivisti politici dopo la violenta repressione delle pacifiche proteste di massa dello scorso settembre. Dal novembre 2007, sono stati arrestati più di 100 attivisti politici in diverse parti del paese, comprese le regioni delle minoranze etniche. Almeno 16 di loro sono stati condannati a pene detentive, e secondo testimonianze attendibili alcuni all’ergastolo.

Il 19 febbraio, l'Inviato Speciale delle Nazioni Unite UN Ibrahim Gambari ha dichiarato che le autorità del Myanmar erano tenute a creare "un’atmosfera favorevole ad elezioni credibili", in risposta al recente annuncio del governo di un referendum sulla nuova costituzione da tenersi a maggio e di elezioni multi-partitiche per il 2010.

Tuttavia, negli ultimi mesi le autorità hanno aumentato la pressione sui media e sulle persone che esercitano il loro diritto alla libertà d’espressione diffondendo informazioni su internet.

Ai primi di febbraio, il popolare blogger e proprietario di un internet caffé, Nay Phone Latt, è stato incriminato in base alla sezione 5 della Legge sull’Emergenza del 1950. Questa legge, dal contenuto estremamente vago, è stata usata nel corso degli anni per incarcerare giornalisti e scrittori.

Inoltre, tra gli arresti recenti ci sono persone che hanno tentato di inviare alla comunità internazionale informazioni sulla repressione, il che dimostra chiaramente come il governo sia determinato a ridurre al silenzio chi sia in grado di accusarlo. Le autorità hanno anche dichiarato di indagare sui legami tra i giornalisti all’interno del Myanmar e i media stranieri gestiti da esiliati.

In Myanmar i media sono strettamente controllati. Tutti i giornali e le pubblicazioni stampate devono essere visionati dal "Press Scrutiny Board" (comitato per la censura) prima della pubblicazione o distribuzione; autori, editori, redattori e distributori possono essere incarcerati fino a sette anni in caso di violazione. Tutte le pubblicazioni, compresi romanzi, trasmissioni e video, sono soggetti alla censura governativa. Anche internet è pesantemente censurato. Durante la repressione dello scorso settembre, le connessioni sono state interrotte, e il governo ha ripetuto la stessa tattica di repressione un mese dopo quando un piccolo gruppo ha manifestato in occasione dell’anniversario delle proteste.